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Opposizione Cartelle Equitalia: cosa fare

Prescrizione dei Crediti Erariali

Il mancato esercizio di un diritto da parte del titolare per un determinato periodo di tempo, stabilito dalla legge, comporta l’estinzione dello stesso per prescrizione.
Essa ha per oggetto tutti i diritti soggettivi, con esclusione dei diritti indisponibili e del diritto di proprietà nonché di alcuni diritti di azione.
Fondamento della prescrizione è, dunque, l’inerzia del titolare del diritto.
Com’è noto nel diritto tributario (e non solo) sono previsti, termini di decadenza (per il potere di accertamento, di liquidazione e di iscrizione a ruolo per l’Amministrazione Finanziaria e per il diritto al rimborso per il contribuente) e di prescrizione (per l’esercizio del diritto). Una volta impedita la decadenza, con il compimento dell’atto indicato, diviene operante la prescrizione del diritto del credito tributario.
Consegue che, una volta rispettato il termine di decadenza, se previsto, il diritto di credito dell’A.F. divenuto definitivo, per omessa impugnazione nei termini del provvedimento dell’A.F. da parte del contribuente o per passaggio in giudicato della sentenza che lo abbia confermato, resta soggetto alla prescrizione, che è quella specificamente prevista dalla legge, o, in mancanza di espressa previsione, quella ordinaria decennale (art. 2946 c.c.) per il caso di omessa impugnazione, e quella decennale della c.d. actio iudicati, nell’ipotesi di impugnazione conclusasi con sentenza passata in giudicato (art. 2953 c.c.).
Ed invero, la notificazione della cartella di pagamento fa iniziare un termine (articolo 2945 del Codice civile), di dieci anni o del minor tempo richiesto in relazione al credito vantato. L'interruzione della prescrizione attiene al diritto del creditore di far valere il proprio credito, in quanto esso non è ancora estinto. In forza di un credito non estinto, ad esempio, il titolare può chiedere al giudice una sentenza di condanna del debitore al pagamento.
Ad ogni modo, si precisa che questa funzione della cartella non ha nulla a che vedere con l'altra, pur essa tipica della cartella esattoriale, di atto monitorio, ossia recante l'avvertenza che, non corrispondendo la somma intimata nel termine stabilito (di regola, 60 giorni), a partire dal 61º il concessionario ha il potere di agire in via esecutiva, e quindi di pignorare i beni del debitore e di venderli all'asta (articolo 50 del Dpr 29 settembre 1973, n. 602, comma 1). Questo potere del creditore si estingue se l'azione d'espropriazione non è iniziata entro un anno dalla notificazione. Ed invero, sul punto l’art 50 del D.P.R. 602/1973 stabilisce che:
<<1. Il concessionario procede ad espropriazione forzata quando è inutilmente decorso il termine di sessanta giorni dalla notificazione della cartella di pagamento, salve le disposizioni relative alla dilazione ed alla sospensione del pagamento.
2. Se l'espropriazione non è iniziata entro un anno dalla notifica della cartella di pagamento, l'espropriazione stessa deve essere preceduta dalla notifica , da effettuarsi con le modalità previste dall'articolo 26 , di un avviso che contiene l'intimazione ad adempiere l'obbligo risultante dal ruolo entro cinque giorni.
3. L'avviso di cui al comma 2 è redatto in conformità al modello approvato con decreto del Ministero delle finanze e perde efficacia trascorsi centottanta giorni dalla data della notifica.>>.
Tanto premesso, con particolare riguardo alla prescrizione del tributo, si evidenzia che la cartella esattoriale, in ogni caso, segue la prescrizione del tributo a cui si riferisce, salvo che non si faccia opposizione entro 60 giorni.
Si osserva che il termine ordinario della prescrizione è di anni 10 (art. 2946 c.c.), ma vi sono anche prescrizioni ventennali (estinzione dei diritti reali su cose altrui, artt. 954, 970, 1014, 1073 c.c.) e prescrizioni brevi (prestazioni periodiche, art. 2958 c.c., e risarcimento dei danni art. 2947 c.c.), queste ultime previste dalla legge per particolari rapporti e per le quali, tuttavia, una volta azionato il diritto in sede giudiziale e passata in giudicato la sentenza (art.324 c.p.c.) sopraggiunge la c.d. actio judicati, soggetta alla prescrizione ordinaria decennale (art. 2953 c.c.).
Da anni si assiste ad un contrasto giurisprudenziale sulla interpretazione relativa al termine di prescrizione dei crediti erariali (Irpef, Ires, Irap, Iva, imposta di registro, successioni e donazioni) da applicarsi in caso di cartelle esattoriali non opposte. Va detto che, nel sistema tributario italiano, non sussiste una norma generale che disponga il termine prescrizionale del debito erariale. Pertanto, salvo le ipotesi espressamente disciplinate dal Legislatore, peraltro in ambito contributivo e non tributario – come, ad esempio, le contribuzioni di previdenza e di assistenza sociale obbligatoria il cui termine di prescrizione è rinvenibile nel comma 9, articolo 3, L. n. 335/1995- trovano applicazione le disposizioni codicistiche. Ed infatti, mentre i termini di decadenza devono essere previsti espressamente da una norma specifica, i termini della prescrizione spesso non sono indicati nelle varie norme speciali, ma si ricavano dalle norme generali contenute nel Codice civile.
In particolare, il dubbio che si è posto da subito con riferimento alla tematica della prescrizione tributaria, attiene all’applicazione del termine prescrizionale di dieci anni di cui all’articolo 2946 c.c. ovvero di quello breve quinquennale di cui all’articolo 2948, n. 4, c.c.. Più nel dettaglio, la giurisprudenza ha affrontato la complessa problematica del termine prescrizionale da applicare all’obbligazione tributaria e, dunque, della possibilità o meno di qualificare la stessa quale obbligazione a carattere periodico. Ed invero, alla tesi secondo cui la prescrizione dei tributi erariali è di dieci anni, si oppone un’altra tesi secondo cui la prescrizione sarebbe di cinque anni. Alla base della tesi sulla prescrizione quinquiennale, vi è il fatto che, in base al c.c., si prescrivono in cinque anni i debiti che devono pagarsi periodicamente almeno una volta all’anno o in termini più brevi (ad esempio ogni mese, ogni tre mesi, ogni sei mesi, ecc.). Potrebbe essere sicuramente il caso dell’Iva e dell’Irpef, per le quali il contribuente presenta annualmente la dichiarazione fiscale.
Tuttavia, i fautori della tesi opposta, però, ribattono sostenendo che il presupposto d’imposta non è mai uguale: esso può variare di anno in anno in base ai redditi percepiti o, addirittura, potrebbe proprio mancare (si pensi a un contribuente che non ha lavorato).
Nessun dubbio, invece, sussiste in presenza di una sentenza di condanna (nel caso in cui vi sia stato un giudizio e cioè il contribuente abbia impugnato l’atto impositivo ovvero la cartella con ricorso innanzi alla Commissione Tributaria Provinciale), il cui termine di prescrizione resta sempre di dieci anni visto che, in tale ipotesi, la causa del debito – ossia il titolo esecutivo – è la sentenza la quale ha sempre una prescrizione decennale.
Ciò posto, considerata l'assenza di una norma che stabilisca i termini di prescrizione dei tributi erariali e il contrasto giurisprudenziale non ancora chiarito, a parere dello Scrivente, deve ritenersi applicabile la tesi della prescrizione quinquennale e, pertanto, la prescrizione dei debiti erariali deve calcolarsi decorsi cinque anni dalla notifica della cartella di pagamento.